Quali sviluppi da parte di Neuralink? Quale futuro? Proviamo a vedere insieme cosa effettivamente è stato ottenuto dopo il primo intervento su un paziente umano.
La stragrande maggioranza di casi di richiesta al fine vita derivano dai casi di pazienti tetraplegici in via di peggioramento. Sclerosi multiple progressive che, sul lungo periodo, portano alla completa immobilità del paziente. Chi può ancora comunicare coi comandi vocali risponde di solito ‘se è vita, questa?’ e chi comunica coi movimenti degli occhi faticosamente reitera il desiderio di morire. La disperazione nasce non solo dall’impossibilità di una cura, quanto dalla consapevolezza che la malattia perdurerà nel tempo, peggiorando sempre di più. Per chi desidera vivere ci si interroga allora su come ‘aprire’ queste persone al mondo, come consentire loro di comunicare.
Neuralink si propone esattamente ciò; sebbene le modalità e il come rimanga ancora tutto da sperimentare. L’idea di fondo rimane la stessa: connettere con dei chip il cervello umano e garantire che possa comunicare a distanza o che possa interfacciarsi con computer e/o forme di hardware. Potenzialmente un game changer per i tetraplegici; non la normalità certo, ma una ‘nuova’ normalità sicuramente.
FDA sembra aver cancellato le ultime remore, a questo proposito: ha infatti di recente autorizzato l’impianto del Neuralink sul suo secondo paziente ‘umano’. FDA ha autorizzato questo secondo intervento – del tutto sperimentale – a seguito del rilascio da parte di Musk di alcune autorizzazioni relative alle procedure nell’installazione del chip.
Il primo paziente è stato un tetraplegico di ventinove anni, di cittadinanza statunitense, che grazie al chip ha potuto interagire in parte con l’ambiente circostante. Grazie allo sfruttamento del potenziale d’azione neuronale il soggetto ha dimostrato di poter muovere un cursore e pertanto di poter giocare a qualche gioco – ad esempio gli scacchi – e a partecipare ad alcune lezioni.
L’installazione del chip non era stata però né semplice, né immediata. I chip di Neuralink vengono infatti impiantati sul tessuto cerebrale, letteralmente dentro la scatola cranica. La procedura è ancora molto cruda, a tutti gli effetti chirurgia cerebrale; e infatti gli esperimenti sulle scimmie sono spesso degenerati in sanguinosi fallimenti, con episodi di depressione, autolesionismo ed emboli.
Nel caso del paziente tetraplegico alcuni dei fili connessi al microchip si erano staccati, causando una perdita di elettrodi e di conseguenza di potere d’azione, processionale, dell’impianto. I programmatori erano riusciti a conservarne però l’efficacia al cento per cento, in particolare riattivando altre funzioni di Neuralink, ristrutturandone il funzionamento.
Che cosa succederà col secondo paziente? Non è noto e non è una buona cosa fare pronostici. Tuttavia, augurandosi il meglio, Neuralink ha già annunciato che i filamenti verranno stavolta ‘impiantati’ ad un livello maggiormente profondo. Un’interfaccia cervello-macchina che, si spera, andrà incontro a minori problemi.
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