Come risolvere le diseguaglianze profonde create dall’intelligenza artificiale? Una soluzione in Europa è al vaglio. Scopriamo insieme perchè è così controversa.
Il Centres for European Policy Network (Cep) ha calcolato che le intelligenze artificiali porteranno al licenziamento di una persona su dieci entro la fine del 2030. Insomma, le meravigliose e progressive sorti colpiscono ancora, la tecnologia porta a licenziamenti di massa. Nel caso delle IA in realtà sta già avvenendo; nel settore videoludico illustratori con decenni di esperienza, maestri artigianali capaci di creare le immagini più disparate, stanno venendo licenziati a favore dell’utilizzo di IA generative. Sottocosto e mediocri; tuttavia per la maggior parte degli studios conta poter ‘tagliare’ i costi.
Chi saranno i ‘bersagli’ dell’intelligenza artificiale? Innanzitutto le figure ultra specializzate, specie in ambito giuridico; avvocati, consulenti, copywriter. E poi, va da sé, le figure nel campo artistico; illustratori, pittori, disegnatori e così via. E naturalmente i giornalisti, categoria già in fortissima crisi.
Lo strumento che il Cep propone come soluzione è il reddito di base universale, meglio noto come UBI. Si tratterebbe di un reddito minimo, disponibile a tutti, sufficiente a sopravvivere; affitto, spese del gas, dell’elettricità, alimentari e così via. Quanto sufficiente per garantire una vita dignitosa, senza sostituire quanto rappresenterebbe un reddito lavorativo.
L’UBI è stato sperimentato in molti paesi europei, con effetti generalmente positivi; la persona sfrutta l’introito per dedicarsi alla formazione, onde migliorare la propria istruzione; nonostante le retoriche italiane, nessuna persona con UBI si limita a stare ‘sul divano’ a guardare la televisione o a giocare ai videogiochi. C’è di solito un uso costruttivo dei soldi erogati dallo stato.
Il CEP ritiene che si tratti di uno strumento molto più efficace della famosa ‘tassa sui robot‘ proposta più volte negli anni passati. Non sappiamo quali utilizzi verrebbero fatti dei proventi sulla tassa; mentre siamo sicuri che l’UBI consentirebbe di fornire un aiuto immediato ai milioni di disoccupati in tutta Europa, senza essere paternalista come le tessere (annonarie?) per gli alimenti o i bonus a valanga disponibili solo per le famiglie e non per i singoli cittadini.
Naturalmente l’idea dell’UBI è fortissimamente avversata dagli imprenditori, specie coloro che pagano retribuzioni inferiori alla soglia di sopravvivenza, specie in epoca di alta inflazione; per chi adopera lavoratori che sono costantemente sotto la minaccia di non riuscire a pagare i propri debiti e che lavorano solo per poter pagare l’affitto e il caro alimentare, l’UBI rappresenta un serio concorrente.
In generale però gioca a favore dell’UBI la necessità, a fronte dell’avvento delle IA, di riconvertire il proprio settore di attività, di riqualificarsi a favore di altri lavori. Competenze, questa è la parola chiave. Nuove competenze per un nuovo mondo in continuo mutamento.
E’ chiaro però che l’UBI, da solo, non può bastare; serve una politica di tutela molto più ampia, transnazionale, decisa dall’Unione Europea per i propri cittadini senza distinzione di nazione. Uno sforzo che, per l’inevitabile scontro con la piccola e media imprenditoria, difficilmente avverrà mai.
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