Nel Carso di Trieste, nel nord est d’Italia, è stata compiuta un’incredibile scoperta. Scopriamo insieme di che cosa si tratta.
Nella zona brulla e desolata, popolata solo di pini neri ed erbacce, altrimenti nota come Carso sorgono dei resti rupestri assai particolari. Si tratta dei castellieri: quanto rimane di possenti fortificazioni realizzate dagli abitanti locali in epoca protostorica. I castellieri erano grandi cinte di pietra; mura perimetrali possenti, spesse diversi metri. Erano posizionate sui colli del Carso, in una posizione dominante; e all’interno sorgeva il villaggio dei primi abitanti del luogo. Stalle, fucine, campi coltivati, recinti per gli animali, case private; l’intera vita del popolo si svolgeva all’interno del castelliere e della sua (relativa) sicurezza.
Un dei castellieri più importanti è quello di Rupinpiccolo, dove i resti della cinta muraria appaiono ancora chiaramente visibili. Proprio qui sorgeva una delle fortificaizoni più importanti, a suo tempo visitata nell’ottocento nelle sue antiche rimanenze dal console inglese Sir Richard Burton. E proprio qui è avvenuta una scoperta incredibile.
Sopra infatti la porta di accesso al castelliere è stata rinvenuta una pietra circolare, scolpita con una costellazione di punti. ‘Costellazione’ appunto, perchè si è coperto come si tratti di una mappa, nello specifico una mappa stellare. La superficie, liscia e levigata, presenta in totale (considerando entrambe le facce) 29 puntini incisi con uno scalpello. E proprio i resti preistorici dello scalpello erano stati ritrovati poco distanti.
Sovrapponendo il reticolo di punti, in apparenza insensato, con le odierne mappe stellari, si è scoperto come corrispondessero perfettamente ad una mappa stellare. Specificatamente 24 segni corrispondono alla coda dello Scorpione, Orione, le stelle della cintura Betelgeuse e Rigel e l’ammasso delle Pleiadi. Sul retro invece i rimanenti 5 punti ricostruiscono la famosa Cassiopea.
La ricerca è stata compiuta dall’archeologo dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e dell’Ictp Federico Bernardini, aiutato nei dettagli tecnici dall’astronomo dell’Inaf di Trieste Paolo Molaro. I segni non corrispondenti dovrebbero essere una Supernova oggigiorno non più visibile e alcune stelle derivanti dalla diversa epoca storica nella quale la mappa venne realizzata.
Secondo le prime stime dovrebbe trattarsi della più antica mappa stellare mai ritrovata; basti pensare che il suo analogo più vecchio, il disco di Nebra, è un manufatot di bronzo datato intorno al 1600 a. C. La mappa invece risalirebbe a un periodo tra il 1800 e il 400 a. C.
Un ritrovamento che ci lascia interrogare su quanto ancora, nella vecchia Europa, abbiamo da scoprire, senza necessariamente dover fare appello ai faraoni dell’Egitto o agli Aztechi delle Americhe.
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