Un team di ricerca americano ha costruito un computer con parti ‘naturali’ e parti elettroniche. Scopriamo insieme di che cosa si tratta.
Qual è la nuova frontiera della (fanta)scienza? Secondo molti l’ibrido uomo-macchina, la fusione tra carne e metallo, tra cervello e chip. Potrebbe sembrare macabro, ma di cyborg nel mondo scientifico se ne parla da un bel po’. Il primo ad esserne un animato (e controverso) proponente era stato il miliardario sudafricano Elon Musk, il quale li aveva proposti quale ‘alternativa’ allo strapotere delle intelligenze artificiali. Il cyborg come il soldato umano contro le macchine, quale prima linea di difesa contro l’aggressione delle IA. Più fantasia che scienza; e alla fine, tolti i ragionamenti scientifici, rimanevano solo le bollicine della fanta(sia).
Tuttavia un primo, serio, passo in quella direzione è stato compiuto da un team scientifico capitanato da Feng Guo, afferente all’Università Bloomington (Indiana, USA). Si tratta di uno studio scientifico, con tutti i crismi dell’autorevolezza accademica; è stato infatti pubblicato sulla rivista Nature Electronics.
Di che cosa si tratta? Che cosa ha scoperto Feng Guo? Il ricercatore ha costruito un computer ibrido, composto da una mescolanza di parti elettroniche e parti tecnologiche. Specificatamente si trattava di un gruppo di cellule neuronali, riunite in un organoide, e di un microchip.
Il computer si è dimostrato in grado di funzionare con questo mix di carne e silicio, realizzando diversi calcoli complessi e addirittura risolvendo problemi informatici. Tecnicamente di parla di ‘bioinformatica‘, una fusione tra parti del cervello e hardware tradizionali. Molto cyberpunk, verrebbe da aggiungere.
Come funziona il computer ibrido, un’innovazione ‘rara’
Sappiamo infatti che le intelligenze artificiali, onde poter funzionare, abbisognano di grandi, immense, potenze di calcolo; e i computer tradizionali fanno fatica, oltre a consumare gigantesche quantità di energia al loro servizio. Una possibile soluzione, sebbene per ovvi motivi inquietante, sembra essere di utilizzare un’informatica maggiormente simile, per struttura e componenti, al nostro cervello, onde limitare gli sprechi e massimizzare la resa.
In tal senso aver ‘fuso’ un chip di silicio con un mini cervello composto da neuroni umani segna un importante passo in avanti, una scoperta notevole. Il mix ibrido ha anche un nome: Brainoware.
Allo stadio odierno Brainoware è stato utilizzato per i programmi di riconoscimento vocale, ‘allenato’ su una lingua ben scandita, ma difficile quale il giapponese. Inoltre ha dimostrato di sapersi destreggiare bene coi sistemi dinamici.